10 domande a Brian Freschi, autore di “Elettra”

Come mascotte sceglierebbe sicuramente un pappagallo e non lascia mai che si accumuli troppa polvere sopra gli oggetti perché è convinto possano intristirsi. Di chi stiamo parlando? Di Brian Freschi, autore del graphic novel Elettra illustrato da Elena Triolo, ora disponibile sugli scaffali di tutte le librerie.  Per scoprire di più su di lui, le sue passioni e il suo nuovo libro, gli abbiamo rivolto le nostre fatidiche 10 domande!

Quando hai capito che volevi diventare uno scrittore? 

In realtà è stata una convinzione graduale. La prima volta che pensai: “Ok ora voglio scrivere”, è stato anni fa, quando ancora recitavo a teatro. Mi sentivo sempre più attratto dal  lavoro della mia regista, molto di più rispetto al “brivido” della recitazione. Stare dietro alle quinte a creare universi era irresistibile per me. 

Pensai così di scrivere romanzi ma, come spesso capita, non sapevo esattamente dove sbattere la testa e in più c’avevo anche l’incostanza di chi non ha la più pallida idea di come si scrive per lavoro.

Poi, dopo pochi anni, sfogliai per puro caso in una libreria Blankets quell’opera struggente di Craig Thompson. Non mi ero mai avvicinato ai fumetti se non leggendo di tanto in tanto qualche bonellide di mio padre o qualche comics dei miei amici. Con Blankets capii che col fumetto si poteva creare anche altro, con nuovi formati, nuovi target, nuovi respiri di lettura, e che era proprio da lì che volevo iniziare, anche se prima di quel momento ancora non lo sapevo.

Quanto tempo ci ha messo la tua storia ad arrivare sugli scaffali?

In realtà non tanto. Dopo aver concluso gli studi di sceneggiatura a fumetti a Firenze mi lanciai subito ad esplorare la Self Area di Lucca Comics & Games, che poi non è altro che quello spazio meraviglioso dove i collettivi di autoproduzione si incontrano tra di loro e, soprattutto, incontrano i lettori. Lì scoprì per la prima volta il collettivo Manticora, che mi accolse in famiglia e mi insegnò veramente tantissimo sul mondo del fumetto e i suoi retroscena. Il Lucca successivo, nel 2015, avevamo sfornato la prima antologia con tre mie storie:  Der Krampus. Mentre, tempo qualche mese, entrai in contatto con un super socio illustratore come Davide Aurilia e poi con BAO Publishing, con la quale iniziai a lavorare al mio primo libro d’esordio, Gli anni che restano. 

Sei il primo artista della tua famiglia?

In questo senso sì. Almeno parlando di genitori, nonni ecc. Anche se avevo un lontano parente che faceva anche lo scrittore, di mestiere. Si chiamava Giorgio Ballerin e tra i suoi lavori ci tengo a nominare “Le favole della Rocca. Storie vere della vecchia Cesenatico” che racconta un sacco di storie divertenti e folcloristiche su alcune famiglie della cittadella di mare dove son cresciuto. Viene anche raccontato di un mio “avo” che, uscito fuori una notte d’inverno per bere si era poi addormentato in mezzo alla strada rimanendo mezzo congelato, sopravvivendo nonostante tutto e tornando a bere più di prima. La tempra dei vecchi marinai!

I tre libri/autori/illustratori preferiti della tua infanzia e di oggi.

Con i libri mi è impossibile dare una risposta. Quindi vado di autori!

Sono cresciuto con le opere di Roald Dahl, tipo tutte, ovviamente, e con le meravigliose illustrazioni di Tony DiTerlizzi. Poi ho sempre avuto una fissa per Quentin Blake e per Philip Reeve. Senza contare Tony Wolf. Ma potrei continuare per ore.

Qual è la parte migliore e quella peggiore del mestiere di scrittore?

La parte migliore è che ho la libertà pressochè totale di lasciarmi andare a creare mondi, situazioni e personaggi, facendo dell’arte praticamente il mio ossigeno e conoscendo tantissimi luoghi in giro per l’Italia e per il mondo, colleghi belli da morire e lettori preziosi che ogni giorno ti strappano un pezzo di cuore con le loro parole. È un senso di completezza non da poco. D’altra parte spesso molti sottovalutano la fatica necessaria. Tirare fuori conigli dal cilindro ogni singolo giorno comporta una stanchezza psicologica da non sottovalutare. Ci sono giorni che quasi è difficile anche solo prendere in mano una penna dal senso di fastidio e che si è totalmente svuotati di idee. Ma qualcosa tocca sfornare comunque e da lì nasce un’altra paranoia: “Bene, devo creare idee anche se son ridotto così, saranno valide? Riuscirò a trasmettere qualcosa o sarà tutto lavoro sprecato?”. Il pensiero di Confucio: “Scegli il lavoro che ami e non lavorerai mai, neanche un giorno in tutta la tua vita” è una boiata pazzesca.

Come scrittore, quale mascotte/avatar/spirito animale sceglieresti?

Il pappagallo è la mia mascotte per eccellenza. È un animale capace di rendermi spensierato e leggero anche solo osservandolo (infatti ne ho tre!). Ma come avatar mi piace tenere diverse statues di personaggi di cinema e videogiochi e tendo anche a dare nomi ai peluches, così quando sono imparanoiato posso sfogarmi su di loro chiamandoli direttamente. Sono ottimi ascoltatori.

Dove hai trovato l’ispirazione per questo libro? Ti ha insegnato qualcosa?

L’ispirazione è venuta dalla sua quasi diretta protagonista: Elena Triolo, che poi ha illustrato il fumetto. La storia è in parte tratta dalle sue sfighe sportive che mi hanno divertito ogni giorno. Per il resto mi sono ispirato anche a disagi personali, a passioni che ho in comune con alcuni personaggi (come quella per le api o, appunto, per i videogiochi) e ad osservare come certi genitori ascoltino i propri figli senza però ascoltarli veramente. Questa consapevolezza mi ha dato tanto materiale su cui riflettere e, purtroppo, non mi è toccato nemmeno scavare poi così tanto a fondo per trovare esempi e referenze.

Raccontaci tre cose folli/interessanti su di te.

Odio lasciar accumulare troppa polvere sugli oggetti perché son convinto che poi diventino tristi, parlo ad alta voce con le piante chiedendogli tipo qualunque cosa (anche se penso che in realtà tutti dovrebbero farlo) e ho un problema serio con la panna che si crea facendo bollire il latte. Immaginate la vostra reazione nell’osservare ciò che vi fa più disgusto in assoluto e moltiplicatela per cinque. Non riesco proprio a guardarla che me la sogno la notte.

Se non fossi diventato uno scrittore, quale sarebbe il tuo lavoro ideale?

Bella domanda! Per anni ho lavorato come commesso di una videoteca/nerderia e ammetto che era un lavoro che amavo molto e che mi riusciva anche piuttosto bene. Magari possedere un negozio di geekeria sarebbe stato il mio piano B. 

Cosa vorresti che il lettore si ricordasse della tua storia?

Di certo i suoi personaggi e la loro divertente umanità. Il loro rappresentare i sentimenti dei più piccoli ma essere anche filtro dei sentimenti dei più grandi, solo in chiave più spontanea. Del resto quale adulto non si è mai trovato in una situazione simile a quella di Elettra anche dopo essersi lasciato l’infanzia alle spalle? 

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