10 domande a Chiara Lorenzoni, autrice di “Come un seme di mela”

Quando hai capito che volevi diventare una scrittrice?

In seconda elementare la maestra ci aveva assegnato per casa il compito di scrivere tre pensierini di due righe ciascuno. Io ho scritto la storia di un pappagallo che si era perso. Al posto del paio di righe, ho scritto due facciate. Da grande ho capito che forse tutto è iniziato proprio in quel momento esatto, la voglia di raccontare e di scrivere. Scrivere come necessità.

Quanto tempo ci ha messo la tua storia ad arrivare sugli scaffali?

La storia di Tea è cominciata qualche anno fa. Prima sono arrivate Tea, zia Tessa, Timoteo e Orcassassina. Ma zia Tessa era troppo chiacchierona, Tea troppo silenziosa, Timoteo troppo scodinzolante e Orcassassina troppo sfuggente, così ho aspettato con pazienza. Quando ho avuto orecchie giuste per ascoltare la loro storia, ho iniziato a scrivere e nel giro di qualche mese Tea è stata accolta a casa Castoro. Quale posto migliore?

Sei la prima artista della tua famiglia?

Ma no. Mia mamma è un’artista delle lasagne!

I tre libri preferiti della tua infanzia e di oggi.

Domanda difficilissima. Sapendo di lasciare fuori letture che ho amato moltissimo, direi: Favole al telefono di Gianni Rodari, Anna di Green Gables di Lucy Maud Montgomery, Il pesciolino Gino, di autore sconosciuto, libricino che avevo imparato a memoria e che all’età di 4 anni fingevo di leggere.

Libri preferiti di oggi (perdonatemi autori che non cito, sappiate che vi amo e vi ringrazio dal profondo del cuore): Orgoglio e Pregiudizio, di Jane Austen, Il buio oltre la siepe, di Harper Lee, Nel museo di Reims (dai racconti) di Daniele Del Giudice.

Qual è la parte migliore e quella peggiore del mestiere di scrivere?

La migliore: immaginare, scegliere con cura le parole esatte, l’atto fisico della scrittura. La peggiore: in fase di revisione, rileggere e correggere imponendosi quella distanza che aiuta a capire se qualcosa non è chiaro o non funziona. Sento una specie di strappo, una sorta di allontanamento che fa un po’ male.

Come scrittrice, quale mascotte/avatar/spirito animale sceglieresti?

Una volpe

Dove hai trovato l’ispirazione per questo libro? Ti ha insegnato qualcosa?

Non so se esiste davvero l’ispirazione, per me è un’immagine il punto di partenza, quella attorno alla quale tesso la storia. Una ragazzina con occhi grandi e spaventati, una zia allegra e bislacca, un cane rosso enorme. Loro tre hanno bussato per primi e io ho aperto.

Cosa mi hanno insegnato? Che famiglia è un concetto fluido, che il coraggio non è assenza di paura, che l’originalità è uno dei tanti modi di vedere le cose, il mondo e l’altro da sé

Raccontaci tre cose folli/interessanti su di te.

Uno dei miei grandi desideri è quello di avere una gallina come animale da compagnia.

Ogni volta che cammino per la strada raccolgo le piume vagabonde di uccelli distratti.

Mi piace dare un nome alle cose che mi piacciono: Arturo la bici, Giuseppina la pianta da appartamento (passata rapidamente a miglior vita e sostituita da Ugo la pianta grassa), Ersilio il geco che ogni estate mi viene a trovare …

Se non fossi diventata un’autrice, quale sarebbe il tuo lavoro ideale?

Fotografa, etologa, salvatrice di animali abbandonati, liutaia, filosofa, falegname, ballerina di tango, imbianchina, libraia, poetessa (mi servono altre vite, gasp!)

Cosa vorresti che il lettore si ricordasse della tua storia?

L’importanza di vedere le cose da altri punti di vista e la consapevolezza che per cambiare e crescere bisogna accogliere chi si è, sentendosi giusti comunque.

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