10 domande a Nina LaCour, autrice di “Stiamo bene così”

Al suo primo romanzo italiano con Il Castoro, Nina LaCour è già un’autrice affermata e apprezzata a livello internazionale. Per la collana HotSpot esce Stiamo bene così, un romanzo YA incredibilmente maturo e commovente, in cui vengono affrontate la solitudine e la depressione che possono colpire a seguito di un lutto importante. Inserito dal TIME tra i 100 migliori Young Adult di tutti tempi, il romanzo di Nina LaCour ha ricevuto il plauso della critica internazionale.

Le nostre 10 domande per lei.

Quando hai capito di voler diventare una scrittrice?

Da che ho memoria ho sempre amato inventare storie. Ancor prima di imparare a scrivere immaginavo personaggi e situazioni interessanti da fargli vivere. Mi sono sempre rifugiata in mondi immaginari e sono davvero felice di poterlo fare di professione.

Quanto ci è voluto per vedere la tua storia arrivare tra gli scaffali delle librerie?

Per scrivere Stiamo bene così ci ho impiegato un anno e mezzo, poi l’ho revisionato per almeno un altro anno, e infine ci è voluto un ulteriore anno affinché il processo di pubblicazione facesse il suo corso. È sempre incredibile pensare a quanto impiega un libro a passare da idea a oggetto fisico nelle mani dei lettori!

Sei la prima artista della tua famiglia?

No, anzi! Vengo da una famiglia di persone creative: tra i miei familiari ci sono musicisti, pittori e cantanti. Però potrei essere stata la prima a diventare scrittrice.

I tuoi tre libri, autori o illustratori preferiti di quando eri bambina e di oggi.

The House on East 88th Street e Lyle, Lyle Crocodile, entrambi di Bernard Waber, erano i miei libri preferiti in assoluto da bambina. Adoravo anche i libri della serie “The Boxcar Children”, di Gertrude Chandler Warner, ed è divertente perché mia figlia li sta leggendo adesso, perciò posso riviverli attraverso i suoi occhi. La signora Dalloway di Virginia Woolf è uno dei miei romanzi preferiti, e probabilmente quello che ho riletto più volte.

La parte migliore e quella peggiore dell’essere una scrittrice.

La parte migliore è la possibilità di rifugiarsi in mondi fittizi. Specialmente durante l’apice della pandemia, è stato incredibile potermi chiudere in una stanza e vivere altre vite – in cui andare al ristorante e alle feste, o poter fare qualunque tipo di esperienza – quando in realtà sono rimasta nel mio appartamento a San Francisco tutto il tempo.

Come scrittrice, cosa sceglieresti come tua mascotte/avatar/animale guida?

Sceglierei la mia cagnolina, Luka, perché come lei posso diventare super coinvolta, eccitata ed energica, per poi scaricarmi e collassare. Per la maggior parte della mia vita lavorativa sono stata una scrittrice sporadica: mi immergo totalmente in un progetto e poi ho bisogno di una lunga pausa.

Come ti è venuta la prima idea per questo libro e cosa hai imparato scrivendolo?

All’inizio sapevo solo di volermi cimentare in una struttura in cui nel presente ci sarebbe molta staticità: poca azione ma una forte componente emotiva. Invece il passato avrebbe abbracciato un arco temporale più lungo, in cui sarebbero successe molte più cose. Poi, pochi mesi dopo la nascita di mia figlia, mi sono venute in mente le prime righe e ho cominciato a immaginare come sarebbero stati Marin, Mabel e il nonno. Avevo perso il mio durante l’anno precedente e la sua morte mi aveva spezzato il cuore, così mia moglie mi ha suggerito di scrivere di una ragazza allevata da suo nonno. Nel romanzo però c’è una componente di oscurità e mistero molto più marcata; la relazione che avevo io con mio nonno era davvero sincera e affettuosa.

Raccontaci tre cose interessanti/un po’ pazze su di te!

  • Ho imparato a usare il cambio manuale guidando sulle strade di collina di San Francisco.
  • Quando ho scritto Stiamo bene così non sapevo cosa significasse vivere in un luogo dove nevica spesso; ho sempre vissuto in posti dal clima mite.
  • Sono stata in Italia due volte ed è una delle mie mete di viaggio preferite.

Se non potessi essere una scrittrice, quale sarebbe il tuo lavoro ideale?

Qualcos’altro di artistico! Mi piacerebbe essere una regista o una pittrice o un’artigiana del legno o una musicista.

Cosa vorresti che i lettori italiani ricordassero della tua storia?

Vorrei che ricordassero che il lutto è un’esperienza universale, anche se può farci sentire isolati. Imparare a riconoscere che non siamo soli è complicato, ma aprirsi agli altri può significare trovare il conforto di cui abbiamo bisogno.

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