L’attesa che ha portato Cinque minuti finalmente sugli scaffali delle librerie è stata una di quelle interminabili, che non passano mai. E anche se assicura di non aver contato i mesi e i giorni, Sara Piazza è finalmente libera di raccontare la storia di un albo che mette in risalto proprio il valore della pazienza e dell’attesa.
10 domande per conoscere meglio l’autrice di un albo delicato, arricchito dalle splendide illustrazioni di Maki Hasegawa.
Quando hai capito che volevi diventare una scrittrice?
Alle elementari riempivo i quaderni di storie, senza vergognarmi di copiare le idee da chi lo faceva di mestiere. Ai tempi del liceo invece mi addormentavo immaginando incipit originalissimi, oppure no, che comunque non scrivevo mai e poi mi dimenticavo. Il desiderio c’è da sempre, quindi, ma la determinazione è più recente.
Quanto tempo ci ha messo la tua storia ad arrivare sugli scaffali?
Avevo scritto una prima versione di questa storia circa sei anni fa. Era molto diversa, ma l’origine è quella. La nuova stesura invece è di due anni fa. Su quel testo ho lavorato insieme alla mia editor e poi… dopo altri quindici mesi (ma non li ho contati!) è finalmente arrivato in libreria.
Sei la prima artista della tua famiglia?
La mia è una famiglia di insegnanti, matematici, lavoratrici a maglia, sarte, allenatori. Quindi no, non sono la prima.
I tre libri preferiti della tua infanzia e di oggi.
Richard Scarry (non un libro solo) è stato il mio primo autore preferito. Non ora, Bernardo!, di David McKee, a rivederlo adesso mi ricorda con una forte malinconia la mia infanzia, dunque deve essermi stato caro. Per la me di qualche anno dopo dico, senza dubbio, Alice nel Paese delle Meraviglie. Oggi faccio fatica a nominare solo tre libri, ma siccome devo, eccoli: Anna Karenina, Il malinteso di Irène Némirovsky, Il Gruffalò.
Qual è la parte migliore e quella peggiore del mestiere di scrivere?
La parte migliore è aspettare: che l’idea prenda una forma solida, che la storia convinca, che i personaggi diventino veri, mentre loro, e la storia, ti stanno accanto nella vita.
La parte peggiore è ancora aspettare: che le parole prendano la forma migliore, che sia il momento giusto, che la storia convinca (anche qualcun altro), che non ti dispiaccia più buttare via quello che non va bene.
Come scrittrice, quale mascotte/avatar/spirito animale sceglieresti?
Non sono una velocista, ma di solito arrivo a destinazione. Quindi scelgo la tartaruga, proprio quella della storia.
Dove hai trovato l’ispirazione per questo libro? Ti ha insegnato qualcosa?
È iniziata con un filo d’erba, con cui una bambina (che viene da un tempo lontano) voleva imparare a fischiare. Solo mentre scrivevo ho capito che quella bambina, per poter imparare, doveva aspettare, aspettare ancora: allenare la pazienza. Con il tempo, e i tentativi, la storia è cambiata parecchio e questa attesa è diventata l’idea centrale. Scriverla mi ha insegnato a provare a togliere ciò che non serve, a semplificare. Ma su questo ho di certo ancora tanto da imparare.
Raccontaci tre cose folli/interessanti su di te.
- Vado in crisi se mi devo definire.
- Ho iniziato a dire le bugie quando ero già maggiorenne.
- Una volta sono stata in Nagorno Karababakh.
Se non fossi diventata un’autrice, quale sarebbe il tuo lavoro ideale?
Se potessi ricominciare tutto da capo, disegnerei. Ma non rinuncerei a scrivere!
Cosa vorresti che il lettore si ricordasse della tua storia?
Vorrei che restasse l’idea che anche il tempo dell’attesa è prezioso.