Per Il cacciatore di ombre, l’autore Simon Tudhope ha cercato di migliorare gli aspetti solitamente lasciati più in disparte quando si parla di libri-game, vale a dire trama e sviluppo dei personaggi. Con quest’obiettivo in mente, il risultato è un mondo vivo e strutturato, abitato da creature e personaggi di ogni tipo, in cui il lettore-giocatore può muoversi con sorprendente autonomia, sempre considerando il genere di libro in questione. Be’, cosa aspetti? Corri a salvare il regno di Arkendale!
Le nostre 10 domande a Simon Tudhope.
Quando hai capito di voler diventare uno scrittore?
Quando ero alle elementari e le mie storie non facevano che vincere stelle d’oro! La mia insegnante aveva solo una richiesta. Per qualche motivo, in ogni storia che scrivevo il protagonista si chiamava “Bert”. Non so perché, era antiquato già allora! Mi ha chiesto di pensare a un nome diverso.
Quanto ci è voluto per vedere la tua storia arrivare tra gli scaffali delle librerie?
Be’, la Usborne non aveva mai pubblicato un libro come Il cacciatore di ombre, quindi c’era un naturale scetticismo sulle sue possibilità. Per fortuna ho un brillante caporedattore, che li ha convinti a provarci. L’idea della serie era inizialmente venuta a lui, perciò dobbiamo ringraziare Sam Taplin se Il cacciatore di ombre è riuscito ad arrivare sugli scaffali. Poi ovviamente ci sono stati la pianificazione e la scrittura, gli enigmi illustrati e il collaudo del sistema di gioco… In tutto probabilmente ci sono voluti due anni, ma per il prossimo ci stiamo impiegando metà del tempo.
Sei il primo artista della tua famiglia?
Sì, per quanto ne so. Mia nonna paterna è una pittrice amatoriale, mentre quella paterna ha suonato l’organo in chiesa per cinquant’anni, ma nessuno ha mai scritto qualcosa che è stato pubblicato. Vengo da una famiglia di ingegneri, a dire il vero, cosa che potrebbe avermi aiutato nel progettare i percorsi a incastro di Il cacciatore di ombre!
Come ti è venuta la prima idea per questo libro e cosa hai imparato scrivendolo?
Io e il mio caporedattore ci siamo seduti e abbiamo messo sul tavolo tantissime idee. Tradizionalmente, la trama e lo sviluppo dei personaggi non sono i punti di forza dei libri-game, una tendenza che eravamo decisi a invertire. Il personaggio che interpreti ha un passato, degli amici e una famiglia; in più, è giovane. È un libro per ragazzi, in fondo. I nemici, invece, sono molto più grandi, più forti e sanno molte più cose di te, cosa che crea un reale senso di pericolo e di mistero.
Cos’ho imparato? Credo soprattutto quanto lavoro ci vuole per arrivare al libro finito partendo dall’idea. Tutte le innumerevoli, minuscole scelte che contribuiscono a creare un mondo credibile: nomi, età, famiglia, aspetto fisico, indumenti, geografia, clima, architettura, tecnologia, eccetera. E poi bisogna pensare alle motivazioni dei personaggi. Magari vorresti che la storia andasse in una certa direzione, ma quel personaggio si comporterebbe davvero così? E, se sì, perché? Se la risposta è no, la trama va modificata. Perché, non appena inizi a piegare i personaggi alla storia, quest’ultima diventa meccanica. Riuscire a rendere ogni cosa semplice e naturale, farla quadrare, è lì che si spende la maggior parte delle energie.
La parte migliore e quella peggiore dell’essere uno scrittore.
La parte migliore è sicuramente il senso di soddisfazione che provi quando sei felice di quello che hai fatto. È il motivo per cui apprezzo il processo di editing (contrariamente a molti altri scrittori). Si sfoltisce, si perfeziona e si affina, e si mettono a fuoco le scene in modo che le parole non siano d’intralcio e il mondo prenda vita nella tua testa. La parte peggiore è la mole di lavoro necessaria ad arrivarci! (Vedi risposta precedente…)
Che personaggio letterario ti piacerebbe essere?
Il Conte di Montecristo sarebbe forte, anche se potrei fare a meno del decennio trascorso nelle segrete!
I tuoi tre libri, autori o illustratori preferiti di quando eri bambino e di oggi.
Argh, solo tre?! Allora, per quanto riguarda i miei libri preferiti da bambino: Il Signore degli Anelli di J. R. R. Tolkien, Buonanotte, signor Tom di Michelle Magorian e La grande avventura di Robert Westall. Quelli di adesso: Il Grinta di Charles Portis, Le tre stimmate di Palmer Eldritch di Philip K. Dick e Passione di Jeanette Winterson. Posso aggiungere un racconto? Ritorno, di Andrej Platonov.
Raccontaci tre cose interessanti/un po’ pazze su di te!
- Ho vissuto a Mosca per un anno e mezzo, dove lavoravo come redattore sportivo per un quotidiano inglese chiamato «Moscow Times».
- Non mi piacciono le cose dolci: cioccolato, frutta, bevande analcoliche, eccetera.
- Sono la reincarnazione di un fabbricante di candele francese del XIV, nonché forgiatore di sigilli part-time.
Se non potessi essere uno scrittore, quale sarebbe il tuo lavoro ideale?
Probabilmente il medico, mi piace il cameratismo che si vede negli ospedali. Non un chirurgo, però: le mie mani non sono abbastanza ferme.
Cosa vorresti che i lettori italiani ricordassero della tua storia?
Non sono mai stato granché a ricordare i dettagli delle trame, ma non mi dimentico mai come mi fa sentire un libro. Spero quindi che i lettori italiani ricevano un’impressione positiva da Il cacciatore di ombre, un ricordo piacevole e divertente. Alcuni genitori ci hanno scritto per raccontarci quanto si sono divertiti a giocarci insieme ai propri figli. Non me lo sarei mai aspettato, ma è meraviglioso venire a sapere che il libro è riuscito a creare dei momenti familiari del genere. Ho un figlio piccolo anche io: ha solo tre anni e gli leggo qualcosa ogni sera, ma so che non durerà per sempre. Perciò, se i libri-game posso rivelarsi un modo per unire genitori e figli più grandi, è grandioso.